Alpha: lo spiazzante ritorno dopo la Palma d’Oro. La recensione del film di Julia Ducournau

Sul momento più difficile nella carriera di un regista ci sono differenti linee di pensiero. C’è chi reputa che già riuscire a esordire sia sempre più complesso e c’è chi attribuisce la maggior sfida all’opera seconda, la prima cartina tornasole di un autore, quella che decreta il suo status di “nome da seguire” o di abbaglio collettivo.

Nel caso di Julia Ducournau, il grande passo era invece rappresentato dal suo terzo film. Non solo Raw è stata una folgorante opera prima, diventando un piccolo cult prima nel circuito indipendente del cinema di genere per poi ampliare il suo bacino d’utenza, ma con Titane le aspettative sono state addirittura rilanciate.

D’altronde con il suo esercizio cronenberghiano, forse per la prima volta da anni il pubblico festivaliero (e quello del cinema d’essai attratto da esso) è entrato in contatto con il body horror e delle teorie postumaniste incentrate sul rapporto uomo-macchina. Il tutto per merito di una scelta sicuramente coraggiosa compiuta da Spike Lee e dalla giuria da lui presieduta a Cannes 2021, che ha portato all’assegnazione della Palma d’Oro alla regista.

Evitare di schiantarsi dopo tale traguardo era quasi inevitabile e molti, durante l’ultima kermesse cannense, hanno bollato Alpha proprio come un fallimento di queste proporzioni, incapace anche di tenere minimamente testa al film che l’ha preceduto. Eppure, a prescindere dal giudizio complessivo, a Julia Ducournau va riconosciuto di aver intrapreso la strada più impervia, ma anche forse quella più soddisfacente a livello artistico. Scostatasi dal giocattolo derivativo, l’autrice prende di pieno petto una storia personale e la rielabora secondo i codici del fantastico.

L’assunto di base è uno ed è esteticamente potentissimo: l’Aids viene sostituita da una malattia venerea che trasforma gli esseri umani progressivamente in statue, prima a livello corporeo fino ad intaccare completamente la loro mobilità. Questa soluzione visiva, già spiazzante di suo, risulta ancora più efficace nel contesto estremamente realistico nel quale viene inserita.

Il mondo della storia coincide con i nostri primi anni 90’, dove l’epidemia di questa malattia venerea imperversava, e il registro utilizzato è quello della tragedia, dalla urlatissima recitazione, che flirta col melodramma (Tahar Rahim spicca su tutti), fino alla fotografia spentissima, dominata dalla sterilità del grigio che si scontra con il giallo più vitale delle luci ospedaliere, paradossalmente nel luogo liminale tra vita e morte.

Alpha è estremamente travolgente proprio grazie a questi contrasti: caratteri turbolenti e incontrollabili che diventano manichini inermi, così come la pelle, sfiorabile e oltrepassabile da agenti esterni, diventa materiale insensibile agli stimoli, se non alla sua distruzione fisica.

Spiace quindi constatare in Alpha una confusione narrativa sempre più importante con l’avanzare del secondo tempo, quando il film si sofferma eccessivamente sul complicare il proprio intreccio, cadendo in gravi illogicità che non possono che catapultare lo spettatore fuori da una storia in cui sarebbe stato completamente immerso. Inevitabilmente questo inutile ingarbugliarsi si ripercuote anche su un finale il cui simbolismo perde di efficacia.

Anche con queste problematiche sul piano della scrittura, Alpha rappresenta senz’altro uno step non scontato nel percorso cinematografico di Julia Ducournau, che mai come con questo film ha dimostrato di voler utilizzare il medium per parlare della propria esperienza personale con la maggiore libertà espressiva possibile.

Fonte: Film: trame e trailer - Best Movie
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