Il film Disney e Pixar Inside Out 2 torna nella mente dell’adolescente Riley proprio quando il Quartier Generale viene improvvisamente demolito per fare posto a qualcosa di completamente inaspettato: nuove Emozioni! Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto, che a detta di tutti gestiscono da tempo un’attività di successo, non sanno come comportarsi quando arriva Ansia. E sembra che non sia sola.
Sequel del film del 2015 diretto da Pete Docter, uno dei capolavori più luminosi, commoventi e kubrickiani del cinema d’animazione degli ultimi anni, la Pixar, colpita da anni di accuse a vario titolo di appannamento e stanca, si cimenta con la sfida non semplice di aggiornare uno dei suoi parti più ingegnosi e smaglianti, con un seguito chiamato a confermare l’ossatura di base ma anche, giocoforza, a cimentarsi con nuovi orizzonti e possibilità.
Ad aumentare il caos arrivano, come detto, nuove emozioni che si uniscono ad Ansia nel Quartier Generale: Invidia, che non fa che ammirare gli altri, Imbarazzo, che si sente spesso mortificato, ed Ennui, che è molto simile alla noia, al disprezzo e alla sensazione di apatia (la doppia in originale Adèle Exarchopoulos e nella versione italiana Deva Cassel, figlia di Monica Bellucci: il personaggio in v.o. parla con un marcato accento francese, strascicato e ovviamente blasé).
Inside Out 2, diretto da Kelsey Mann e prodotto da Mark Nielsen, con una sceneggiatura di Meg LeFauve e Dave Holstein e una colonna sonora scritta da Andrea Datzman, non innova più di tanto rispetto al suo predecessore, limitandosi a vivacchiare su uno scheletro assai ben definito: se si innova poco, però, la capacità di toccare le emozioni giuste con suggestioni grafiche e psicologiche semplici ma efficacissime ribadisce lo status di un prodotto sicuramente illuminato da una grazia e un’intelligenza fuori dal comune.
Il primo Inside Out ci aveva portato a evidenziare a chiare lettere e a ricalibrare nelle nostre vite, troppo spesso distratte, il valore terapeutico della tristezza, chiamata a intervenire per sbrogliare i più importanti nodi di consapevolezza. Qui Tristezza è un’altra faccia di Imbarazzo, quel “ragazzone” che lei stessa blandisce con soffici e vellutate dichiarazioni di affinità e apprezzamento, mentre a tenere banco è soprattutto Ansia, costante dei nostri tempi, con le sue circonvoluzioni verbali nevrotiche e i tentativi disperati e involuti di proteggere Riley da tutti i possibili scenari nefasti che potrebbero incrociare il suo cammino (Pilar Fogliati, nella versione italiano, fa un lavoro di timbrica e ritmo vocale veramente significativo, nel restituire la frenesia sovreccitata e isterica, ma anche soave e svampita, del personaggio).
Inside Out 2 è costruito poi un po’ come un unico set-piece: di fatto è un forsennato detour intorno un campus di hockey cui Riley tiene moltissimo, per far colpo su nuove amiche – più cool delle due ragazzine con cui di solito si accompagna – e soprattutto sull’allenatrice che potrebbe inserirla in squadra. Ci sono le partite, naturalmente, che offrono il presupposto per un costante rimpallo dentro/fuori tra l’esperienza sportiva di Riley e la gestione cerebrale della “situazione” da parte delle sue coloratissime e irresistibili emozioni.
Un unico asse di azione e di racconto cinetico non permette di sfondare molto i limiti della drammaturgia, che infatti rimane un po’ interdetta e si limita a sfiorare, soprattutto nella prima parte, temi legati alla scontrosità e ai malumori che subentrano sulla pubertà. A questo punto, però, e alla luce dello strepitoso successo commerciale che il sequel sta facendo registrare in tutto il mondo, si potrebbe continuare fino all’età adulta di Riley, trasformando Inside Out in una sorta di progetto “esistenziale” sul sentimento del tempo delle nostre vite, alla maniera del Richard Linklater della trilogia di Prima dell’alba e Boyhood. Creativi della Pixar, fateci un pensierino…
Foto: Pixar Animation Studios, Walt Disney Pictures
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