Mixed by Erry: sono un deejay, sono un pirata. La recensione del film di Sidney Sibilia 

Nella Napoli magica degli anni ’80, dove Maradona è una divinità, Enrico sogna di fare il deejay. I mixtape amatoriali che realizza per i suoi amici sono richiestissimi,ma non è facile per un ragazzo che viene dai bassi far conoscere le proprie capacità. Con l’aiuto dei fratelli, Peppe e Angelo, riesce a mettere in piedi un piccolo negozio di musica in cui vendere le sue compilation col marchio “Mixed by Erry”. 

Quello che parte come un gioco dai vicoli di Forcella si tramuta presto, e inaspettatamente, in un’avventura leggendaria e travolgente. “Mixed by Erry”, benché emblema del falso, diventa la prima “etichetta” in Italia, con una produzione che travalica i confini nazionali e trasforma una piccola impresa locale in un impero. Ma il loro successo non passa inosservato… 

Mixed By Erry, il nuovo film di Sidney Sibilia prodotto da Groenlandia di Matteo Rovere e ora in sala con 01 Distribution, racconta l’ascesa e la caduta di Erry, primo “pirata” nella discografia italiana, e dei suoi fratelli. Una vicenda clamorosa che ha rivoluzionato il concetto di pirateria e portato per davvero la musica nelle vite di tutti, e che ha il sapore di quelle piccole, grandi storie incredibilmente italiane in cui qualcuno di nostrano si ritrova a fare cose che abitualmente, con queste ambizioni e proporzioni, si farebbero in America, laddove il confine tra l’improvvisato e il geniale, tra lo spiantato e il pionieristico, è sempre molto più labile che in Europa e dove pare puntualmente più naturale disfarsi di tante sovrastrutture senza tanti complimenti. 

Da tanti punti di vista, Mixed by Erry è anche un film su una banda, che ha tanti tratti in comune con Smetto quando voglio ma è, al contempo, anzitutto una storia familiare e dunque più intima, piccola, raccolta (accanto a Enrico “Erry” Frattasio, i suoi fratelli Peppe e Angelo svolgevano un ruolo centrale). Ha però la stessa matrice: il falso come controcampo del vero, la falsificazione e manomissione fisica – di una droga mai brevettata, nel caso della trilogia, le compilation qui – come arma culturale e perfino identitaria di rivalsa, esproprio, rivendicazione in grado di far saltare il banco dei rapporti di forza tradizionali. Una nuova prassi da edificare da zero, sempre e comunque, lo stereotipo della “rivincita dei nerd” spogliato da stereotipi e facilonerie ed elevato allo stato dell’arte dell’ebbrezza artigianale. 

Sibilia in questo caso non crea un immaginario da zero a partire da modelli ben riconoscibili, come nel caso di Smetto quando voglio, ma realizza un’operazione più delicata e soffusa di archeologia della memoria, che tuttavia – e per fortuna – non incappa mai nelle venature patinata e nelle facili e bieche idealizzazioni del precedente La vera storia dell’isola delle rose. In Mixed by Erry ci sono piuttosto una passione e un cuore che fanno del film una sorta di costola musicofila dell’ultimo Sorrentino, È stata la mano di Dio, perché in entrambi i film è tangibile come chi le racconta abbia vissuto per davvero per quelle cose, ne sia stato attraversato e plasmato, fino a lasciar riverberare in quelle evocazioni l’ossatura del proprio immaginario e sguardo sul mondo. 

«Quando ero piccolo, nel mio quartiere a Salerno, non c’era il negozio di dischi, l’unico modo per comprare della musica (in un lontano periodo storico in cui la musica aveva una dimensione fisica e si comprava nei negozi) era andare da Peppe, il gestore di una bancarella che per cinquemila lire ti vendeva una cassetta Mixed By Erry oppure, se volevi risparmiare, per sole tremila lire una cassetta pirata Mixed By Erry – ha raccontato Sibilia a proposito della genesi della storia del film – La qualità dell’ascolto era decisamente inferiore e anche il packaging non era curato come le originali, motivo per cui, potendosele permettere, Peppe consigliava sempre l’originale, che poi originale non era. In tutto questo “l’etichetta” Mixed By Erry faceva di tutto per contrastare la pirateria, su ogni cassetta era specificato che “Le cassette con fotocopie non sono originali Mixed By Erry” e tra le canzoni spesso si sentiva una voce, che oggi chiameremmo Watermark, che ci ricordava di diffidare delle imitazioni».

Dichiarazioni che ben restituiscono il clima dell’opera e dell’epoca, unitamente al fatto che in coda a quelle cassette c’erano anche un paio di canzoni che, secondo Erry, potevano piacere a chi comprava una cassetta di quel genere di musica, una sorta di “potrebbe piacerti anche” di Spotify (se compravi gli U2, per esempio, magari in coda c’erano i Red Hot Chili Peppers, con la speranza che l’acquirente tornasse ad acquistare le cassette di altri gruppi a lui sconosciuti).

Dopotutto, Erry lo dice a chiare lettere, e più volte: “Volevo solo fare il deejay”. Una frase che sintetizza la semplicità lampante e naïf della sua ispirazione (affine al mero desiderio, in cui tanti potranno rivedersi, di regalare un elenco di canzoni “dedicate” alla persona amata, per esempio), poi tramutasi in un marchio “pirata” diffusissimo nel Sud Italia e non solo, al ritmo vertiginoso di 60.000 pezzi venduti al giornoMixed by Erry nell’evocare e raccontare tutto ciò si muove tra l’incanto delle playlist di una volta e le dinamiche puramente a orologeria della crime story, scevra però da strizzate d’occhio più grandi del dovuto, con un passo sempre molto colloquiale e “manuale”, assimilabile con assoluta verosimiglianza a un ragazzo di un quartiere popolare di Napoli alieno all’establishment discografico e ai suoi fratelli (estremamente credibile, oltre che accertata, è invece la compilation di Sanremo disponibile sulle bancarelle a festival ancora in corso, così come il personaggio molto “Milano da bere” di Fabrizio Gifuni, messo lì a rappresentanza del proto-berlusconismo).

Anche se in quel momento copiare i supporti non era esattamente ancora un reato come lo concepiamo ora (ma lo sarebbe divenuto a breve), Erry costringerà prima i giornalisti a coniare un epiteto, “pirati”, e poi lo Stato a prendere provvedimenti, cambiando la legge e inasprendo le sanzioni. Il punto della storia, nonché il suo massimo elemento di interesse, sta però proprio nel fatto che sulle bancarelle iniziavano a circolare quelle proverbiali imitazioni delle compilation Mixed by Erry, a riprova di come “il falso del falso” sia la più alta forma di cortocircuito ma anche di furore idealistico e pragmatico di cui un racconto possa farsi carico: l’orizzonte ultimo di tutti gli outsider impossessati dal demone e dall’orgasmo di ogni “crimine artistico” che si rispetti, la contraddizione al quadrato definitiva e in assoluto più esaltante, per i falsari come per i più indefessi e strenui difensori della verità e dell’emozione. 

Foto: Groenlandia 

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Fonte: Film: trame e trailer - Best Movie
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