Paolo Sorrentino ci racconta The New Pope: «Non m’interessa essere provocatorio o irriverente»

The New Pope di Sorrentino

Papa Pio XIII, al secolo Lenny Belardo (Jude Law), è in coma. E dopo una parentesi imprevedibile quanto misteriosa, il Segretario di Stato Voiello (Silvio Orlando) riesce nell’impresa di far salire al soglio pontificio Sir John Brannox (John Malkovich), un aristocratico inglese moderato, affascinante e sofisticato che prende il nome di Giovanni Paolo III. Il nuovo Papa sembra irreprensibile, ma nasconde fragilità e segreti. Come se non bastasse Belardo, sospeso tra la vita e la morte, è ormai idolatrato come un santo. 

Sono queste le premesse di The New Pope, la nuova serie originale Sky creata e diretta dal Premio Oscar Paolo Sorrentino, prodotta da The Apartment – Wildside, parte di Fremantle, e in onda dal 10 gennaio in esclusiva su Sky Atlantic e NOW TV. L’attesissima nuova creatura del regista de Il divo e La grande bellezza schiera nel proprio ricchissimo cast, oltre ai già citati Law, Malkovich e Orlando, Javier Cámara, Cécile de France, Ludivine Sagnier e Maurizio Lombardi, tutti già parte della precedente The Young Pope. Tra le new entry, invece, spiccano Henry Goodman, Ulrich Thomsen, Mark Ivanir, Yuliya Snigir e Massimo Ghini, con due guest star d’eccezione come Sharon Stone e Marilyn Manson. 

Vision Distribution porterà The New Pope in sala ogni lunedì successivo alla messa in onda, in versione originale sottotitolata, a partire dal 13 gennaio (primo e secondo episodio) fino al 10 febbraio (il nono e ultimo), con una programmazione prevista al cinema Anteo di Milano, al Quattro Fontane di Roma e al Delle Palme di Napoli. Martedì 7 gennaio alle 21.15 su Sky Cinema Due, inoltre, verrà trasmesso il documentario inedito “Il mondo di Sorrentino”, con una lunga intervista al cineasta per scoprire i segreti del suo cinema, anche attraverso le parole di chi l’affianca sul lavoro da sempre, come l’attore Toni Servillo, il direttore della fotografia Luca Bigazzi, il montatore Cristiano Travaglioli e il suo produttore Nicola Giuliano.

In vista dell’uscita di The New Pope, Sorrentino lo scorso dicembre in un hotel di Roma ha incontrato la stampa italiana (riunita intorno a un tavolo, a mo’ di conclave pre-natalizio) ed ecco cosa ci ha raccontato nel corso di un incontro in cui ha avuto modo di rispondere a domande d’ampio respiro: dai temi e contenuti del suo nuovo progetto seriale ai pilastri del processo creativo, passando per le novità introdotte rispetto alla precedente stagione. 

The New Pope ci permette di entrare nel Vaticano e di osservarne aspetti che non abbiamo mai avuto modo di vedere, dalla musica techno e dance usata per il conclave alla presenza del sesso, per esempio. 

Il sesso, è notorio, c’è dappertutto e sarebbe ipocrita pensare che non ci sia anche in Vaticano. Partendo dal presupposto che un racconto di finzione vuole provare a riprodurre le cose delle vita, il sesso deve per forza di cose farne parte. Il mio è un Vaticano inventato, che ho ricreato basandomi su libri e altre informazioni. L’uso delle musiche invece non vuole essere straniante, ma fa parte di un approccio stilistico che di volta in volta ha un significato diverso e a volte, magari, non ha proprio significato. 

La scrittura seriale impone delle sfide diverse rispetto al racconto cinematografico, dato la maggior quantità di tempo che permette di dedicare ai personaggi?

Come sceneggiatore tendo a scrivere più di quanto serve. Quando scrivo per i film mi devo trattenere, ma per una serie d’altro canto non riesco mai a scrivere abbastanza. Quindi quando scrivo una serie devo sforzarmi di aggiungere, mentre sui film devo sforzarmi di tagliare. La mia misura ideale, dunque, è un film da tre ore o una serie da due ore, ma il problema è che i film durano due ore e le serie dieci. Non parto mai dal presupposto di aggiungere o togliere qualcosa quando scrivo, di essere più o meno cattivo. Non si lavora così, almeno per quanto mi riguarda. Non so gli altri, non essendo nelle loro stanze quando scrivo. Di sicuro so ciò che non voglio mettere: non voglio essere irriverente, provocatorio e trasgressivo, è un gioco che si è fatto per tanto tempo ed è troppo semplice fare gli spregiudicati rispetto a ciò che è risaputo essere ingessato. Un gioco tanto antico quanto infantile, che quindi non mi interessa. A volte però alcune cose finisci per farle, anche se non vuoi farle, perché non è semplice controllare tutta la materia a disposizione. 

Rispetto a The Young Pope c’è anche molta più attualità: il terrorismo, l’immigrazione. 

Nella prima serie, avendo un Papa che predicava la chiusura e vi prestava il fianco, bastava raccontare il Vaticano esclusivamente dall’interno come se non avesse alcuna relazione con ciò che c’era fuori. The New Pope, invece, comincia con un Papa che dice “apriamo le porte”, ragion per cui tutte le questioni che erano esterne dovevano penetrare all’interno.

In questo caso c’è anche un Papa aristocratico che predica la fragilità, “umano troppo umano”, rispetto a quello precedente che invece era un semidio. 

Questo tema a me commuove ed è il motivo per cui l’ho messo in campo. Mi commuove un uomo che rivendica per sé e per gli altri il diritto alla fragilità, al non farcela rispetto alle aspettative degli altri. Penso che quest’elemento sia davvero proprio dei cattolici, nel senso più alto e bello del termine. Essere fragili corrisponde a un consenso enorme, perché fa sì che la debolezza personale riguardi quella di tutti, indipendentemente se si sia giovani o vecchi, uomini o donne. Io credo ci sia bisogno di figure che possiamo stimare e considerare autorevoli, ma che allo stesso tempo assecondino questa condizione. 

All’inizio della serie mostri un attentato in Vaticano: come ti sei rapportato al racconto per immagini di quel momento? 

Intanto devo dire che non sono in grado di girare le esplosioni, non mi piacciono nemmeno tanto a essere sincero. Quando si racconta qualcosa ad ogni modo non dovrebbero esserci dei tabù su cosa si può e non si può raccontare e il coraggio che forse ho messo dentro quella sequenza è un modo per esorcizzarla. 

Nella prima serie ma anche nella seconda emerge una connessione improbabile ma anche evidente tra la santità e il divismo, per tramite del personaggio del Lenny Belardo di Jude Law. Un dualismo che in The New Pope da alcuni punti di vista perfino si amplifica. 

Non le vedo come due cose molto distanti tra di loro, anche in questo caso senza voler essere irriverente. Se ci pensi la terminologia è molto simile. Si chiamano “stelle” del cinema, anche il termine “divo” o “diva” ha una derivazione religiosa. La santità non è qualcosa che ho inseguito direttamente, mentre il divismo predicato da Belardo nella prima stagione è frutto di una strategia mediatica legata al suo vero grande obiettivo: l’incremento dei fedeli. Il divismo se c’è è indiretto e sono ripartito dalla prima stagione, che mostrava un uomo più addolcito e meno intransigente, con meno dubbi e più insicurezze. Io comunque penso che i miei Papi facciano testimonianza di fede: inevitabilmente sono anche dei politici e, per il bene della Chiesa e dei fedeli, si può prendere in considerazione senza sofferenza ma con gioia l’idea di fare un passo indietro, rinunciando al personalismo. Facendo ciò che i politici, forse, non sanno più fare, ostinandosi a rimanere anche quando tutti gli dicono di andare via. Ho fatto due film su dei politici (Il divo e Loro, ndr), ma in entrambi i casi il tema non era certo questo…

Anche ne I due Papi, il film di Fernando Meirelles uscito su Netflix, ci sono due Pontefici, in quel caso chiaramente realmente esistenti trattandosi di Papa Francesco e del pontefice emerito Benedetto XVI: l’accento però, come in The New Pope, è sulla dualità. 

Sicuramente vederne due anziché uno ha colpito l’immaginario, quando è accaduto è sembrato a tutti un fatto stravagante, un po’ come la pecora dolly a suo tempo. Questo dato non può che stimolare la fantasia degli sceneggiatori. 

Com’è stato lavorare con John Malkovich e qual è stato il suo apporto alla serie? 

Io avevo delle mie idee sulla serie e quando l’ho incontrato avevo già iniziato a scrivere, anche se non ero per niente soddisfatto del mio lavoro. Quando l’ho incontrato mi sono messo a riscrivere tutto daccapo, tant’è che questa serie l’ho scritta due volte. Una sera siamo stati a parlare fino alle 3 o alle 4 del mattino, Malkovich è un parlatore importante. Ha un’ambiguità, visibile anche nei suoi film, e un modo di essere rassicurante che messi l’uno accanto all’altro spiazzano. Dopotutto, nelle persone proprio come nelle relazioni sentimentali, sono le contraddizioni che ti conquistano. Lui è spiazzante in maniera positiva, è leggero ma sa dare importanza alle cose. Crede nel progetto, ma nel caso in cui non si dovesse fare non sarebbe una tragedia e questa componente mi affascina molto. Ha ironia, ma sa anche essere molto serio e ha un’eleganza naturale. Man mano che lo osservavo ho capito che la mia fantasia sul suo personaggio era più debole della sua essenza, per cui a un certo punto mi sono messo a rubare da lui per costruirlo. 

Foto: Gianni Fiorito 

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Fonte: Bestserial – Best Movie
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